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Lucro Cessante: Come si calcola il Danno da Mancato Guadagno

Lucro Cessante: Come si calcola il Danno da Mancato Guadagno

Il “lucro cessante” viene comunemente indicato anche con l’espressione “mancato guadagno”, si tratta, difatti, del mancato conseguimento di una cifra di denaro a causa del comportamento illecito di qualcun altro.

Calcolarlo non è una delle operazioni più semplici perché implica di ipotizzare quanto eventualmente una persona avrebbe potuto guadagnare se non fosse intervenuto un determinato fatto. Complicazione ulteriore sta nel fatto che difficilmente è possibile procurarsi delle prove che attestino ciò che sarebbe eventualmente potuto succedere.

Per facilitare il calcolo è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale ha stabilito i criteri da applicare per rendere il risarcimento danni il più veritiero possibile.

Questa tipologia di danno, insieme a quello emergente, serve a definire in maniera unitaria e completa la nozione di danno patrimoniale, come si evince dall’articolo 1223 del Codice civile, che recita: “Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata”.

Dunque, per calcolare correttamente l’ammontare del danno e, quindi, stabilirne il risarcimento, il giudice dovrà tenere conto sia della perdita effettiva di denaro conseguente per esempio dopo un furto sia del mancato guadagno che si sarebbe potuto ottenere se il fatto che dà origine al risarcimento non si fosse manifestato.

Quali sono i tipi di danno che si possono considerare?

  • l’impossibilità di utilizzare un bene;
  • la mancata realizzazione di rapporti contrattuali nei cosiddetti “danni futuri” provocati dalla perdita o dalla diminuzione della capacità lavorativa oppure della capacità di versare prestazioni assistenziali.

Quest’ultima tipologia, può essere a sua volta suddivisa in due voci differenti:

  • la capacità lavorativa generica;
  • la capacità lavorativa specifica.

Con la prima si intende l’incapacità di svolgere qualsiasi mansione.

Con la seconda ci si riferisce all’impossibilità di procedere a una determinata attività, consentendo quindi di trovare impiego in altri settori.

La liquidazione del danno da lucro cessante

E’ necessario stabilire alcuni criteri univoci per determinare il preciso ammontare del danno, in modo che sia il più equo possibile per le parti in causa.
Innanzitutto occorre distinguere se il danneggiato sia un lavoratore dipendente o autonomo.

  • per il lavoratore dipendente si calcola sulla base del reddito da lavoro maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni di legge;
  • per il lavoratore autonomo si calcola sulla base del reddito netto più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato, ai fini IRPEF, negli ultimi tre anni.

Nel caso del lavoratore autonomo il giudice prenderà come punto di riferimento la base imponibile che ha dichiarato ai fini dell’imposta e non il reddito residuo dopo l’applicazione della stessa.

Precisamente si baserà sulla “differenza tra il totale dei compensi conseguiti, al lordo delle ritenute d’acconto, e il totale dei costi inerenti all’esercizio professionale senza possibilità di ulteriore decurtazione dell’importo risultante da tale differenza, per effetto del conteggio delle ritenute d’imposta sofferte dal professionista”.

Così ha stabilito la Cassazione nella sentenza n. 11759 del 15 maggio 2018.