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Estinzione del reato per messa alla prova, revoca e conseguimento della patente

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Estinzione del reato per messa alla prova, revoca e conseguimento della patente

Come è noto, la guida in stato di ebbrezza, salvo i casi più lievi (tra 0.5 e 0.8 grammi per litro che prevede la sola sanzione amministrativa economica e di sospensione della patente), costituisce un reato di natura contravvenzionale punito con l’ammenda e l’arresto, di diversa intensità a seconda del livello alcolico presente nel sangue (art. 186 Cds, co.2, lett. b e lett. c).

Con la sentenza di condanna, o come accade più frequentemente, con il decreto penale di condanna nonché nei casi di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d.patteggiamento), è disposta la sospensione della patente di durata variabile in relazione alla gravità della violazione commessa.

In tali casi la sospensione è disposta direttamente dal giudice con la sentenza (o decreto penale) di condanna e solo la materiale esecuzione è affidata ad un successivo provvedimento amministrativo del prefetto, il quale deve limitarsi alla mera applicazione di quanto disposto dal Giudice (art.224, 1°comma, c.d.s.).

Diverso è il caso della sospensione della patente di guida che il Prefetto, ai sensi del co. 9

dell’art.186 c.d.s., può disporre in via cautelare nel caso in cui dagli accertamenti risulti un tasso

alcolemico superiore a 1,5 g/l; in tal caso la sospensione si protrae fino a quando non è disponibile l’esito della visita medica disposta ai sensi del co.8 dell’art.186 c.d.s.

Nei casi più gravi (quali ad esempio la recidiva nel biennio – art. 186, co.2, lett. c -, o ancora nei casi di incidente stradale provocato da un conducente al quale sia stato accertato un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l – art. 186, co.2 bis – , nonché in altre specifiche ipotesi) è prevista quale sanzione accessoria, in luogo della sospensione della patente, la revoca della patente.

 

Anche la revoca della patente è disposta direttamente dal giudice penale ed applicata dal Prefetto (art.224, 2°comma, c.d.s.).

 

Nei casi sopra descritti l’applicazione delle suddette sanzioni amministrative accessorie

presuppongono l’accertamento del reato e cioè la sentenza (o il decreto) penale di condanna.

Appare opportuno precisare che con la L.29 luglio 2010, n. 120 è stata introdotta la possibilità di ricorrere al lavoro di pubblica utilità quale sanzione sostitutiva della pena inflitta in caso di condanna per guida sotto l’influenza dell’alcool (art. 186, co. 9 bis Cds) ed in tema di guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti (art. 187, co. 8 bis).

Il lavoro di pubblica utilità consiste nello svolgimento di attività non retribuita in favore della collettività che deve essere svolta presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni ovvero presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.

Giova evidenziare che la sanzione del lavoro di pubblica utilità è una vera e propria pena, così qualificata dal legislatore, che determina una limitazione della libertà personale del condannato.

In caso di positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa udienza ed in detta occasione dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato.

 

Sospensione del processo con messa alla prova

 

Fattispecie diversa è la c.d. sospensione del processo con messa alla prova, introdotta con legge 28/04/2014, n.67, che trova notevole applicazione nei casi di guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti.

Trattasi di una modalità alternativa di definizione del processo, attivabile sin dalla fase delle indagini preliminari, mediante la quale è possibile pervenire ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, laddove si concluda con esito positivo il periodo di prova cui acceda l’indagato/imputato, ammesso dal giudice in presenza di determinati presupposti normativi.

 

In sintesi, l’istituto in parola consiste nella richiesta da parte dell’imputato della sospensione del procedimento penale, che viene concessa dal giudice quando, in considerazione della gravità del reato e della capacità a delinquere dell’imputato, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che il soggetto richiedente si asterrà dal commettere altri reati in futuro.

Come evidenziato da attenta dottrina, “lo Stato cede la sua pretesa punitiva, tant’è che l’esito positivo della prova comporta la dichiarazione di estinzione del reato, se il reo recede dalla sua disposizione al reato”.

Più in particolare, la messa alla prova “comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato” (art. 186 bis c.p.), comporta poi l’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può implicare anche attività di rilevo sociale, ed è subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità.

Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita in favore della collettività, affidata tenendo conto della professionalità e delle attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie, o presso enti o organizzazioni, anche internazionali che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato (art. 168 bis c.p.).

 

L’esito positivo della prova determina l’estinzione del reato.

 

A differenza del lavoro di pubblica utilità ex art.186, co.9 bis e 187, co.8 bis, la messa alla prova, in quanto istituto finalizzato ad una composizione “preventiva” del conflitto penale, prescinde dall’accertamento di responsabilità in ordine al fatto ascritto.

 

Competenza ad irrogare la sanzione amministrativa accessoria

 

Una prima problematica attiene all’individuazione dell’organo competente ad irrogare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione o della revoca della patente.

Come si è già detto, la sanzione amministrativa accessoria consegue all’accertamento della penale responsabilità e quindi alla sentenza penale di condanna tanto che viene irrogata direttamente dal giudice penale ai sensi dell’art. 224 c.d.s..

Senonché nel caso della messa alla prova manca una sentenza di condanna o ancora meglio manca l’accertamento della responsabilità penale ed il procedimento si conclude con il proscioglimento per estinzione del reato.

In particolare, con sentenza n. 40069 del 17/9/2015 la Cassazione ha preliminarmente precisato che nei casi in esame (di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova) “..nessun dubbio sussiste che la sanzione amministrativa de quo vada applicata”.

La Corte di Cassazione ha statuito che “..il giudice il quale…pronunci sentenza di intervenuta estinzione del reato ex art 168 ter co.2 cod. pen. per positivo esito della messa alla prova, non

può e non deve applicare la sanzione amministrativa accessoria, che verrà poi applicata dal

Prefetto competente a seguito di trasmissione degli atti da parte del cancelliere ed in seguito a passaggio in giudicato della sentenza che tale estinzione del reato accerta e dichiara (ex art.224,co.3, c.d.s.).”

Nello stesso senso si segnala la sentenza della Cass. ,Sez.4 penale, 23 marzo 2016 n.29639.

 

Riconseguimento della patente dopo la revoca: art. 219 3 bis o co. 3 ter?

 

Acclarato che il provvedimento di revoca della patente nei casi in esame viene disposto dal Prefetto a seguito della trasmissione della sentenza di proscioglimento per estinzione del reato ai sensi dell’art. 224, co.2 e 3, dopo l’espletamento di attività istruttoria, rimane aperto un ulteriore problema legato al riconseguimento della patente.

Premesso che il provvedimento di revoca, a differenza di quello di sospensione, produce la definitiva perdita di efficacia e validità del titolo abilitativo alla guida, il legislatore in via generale ha ritenuto che la revoca non determini una preclusione irreversibile al riconseguimento della patente.

Tuttavia, per i casi di revoca disposta a seguito di violazione di norme del codice della strada, il legislatore ha previsto un periodo di interdizione per il conseguimento di una nuova patente il cui scopo è quello di evitare un troppo celere rientro sulle strade di chi si sia reso colpevole di gravi violazioni al codice della strada.

Le ipotesi di revoca disposta ai sensi degli artt.186 e 187 rientrano nella fattispecie prevista dall’art.219, co.3 ter che testualmente recita: “Quando la revoca della patente di guida è disposta a seguito delle violazioni di cui all’art. 186, 186bis e 187 non è possibile conseguire una nuova patente di guida prima di tre anni a decorrere dalla data di accertamento del reato…”.

Occorre dunque verificare la compatibilità di tale disposizione con la revoca disposta dal Prefetto a seguito di estinzione del reato per messa alla prova.

Atteso che per accertamento del reato di cui alla suddetta norma si intende la sentenza penale di condanna passata in giudicato, si pone il problema se detta norma possa trovare applicazione anche nelle ipotesi esaminate di sentenza di proscioglimento per estinzione del reato a seguito della c.d. messa alla prova.

In tali casi infatti, come si è detto, manca l’accertamento del reato e cioè l’accertamento della responsabilità penale del soggetto attraverso una sentenza di condanna.

Nel momento in cui il cancelliere trasmette al Prefetto la sentenza di proscioglimento per estinzione del rato, è il Prefetto l’Organo deputato a procedere all’accertamento della sussistenza o meno delle condizioni di legge per l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria, tanto che lo stesso deve effettuare un’attività di tipo istruttorio volta all’accertamento della responsabilità del fatto ascritto all’imputato, non potendosi limitare al richiamo alla sentenza di proscioglimento, che in realtà non accerta alcun fatto-reato.

Da ciò discende che il provvedimento prefettizio assume il carattere di sanzione accessoria derivante da un illecito amministrativo e non da un illecito penale, con la ulteriore conseguenza che deve ritenersi applicabile per il riconseguimento l’art. 219 comma 3bis che prevede testualmente: “L’interessato non può conseguire una nuova patente se non dopo che siano trascorsi almeno due anni dal momento in cui è divenuto definitivo il provvedimento di cui al comma 2”.

Tale soluzione sembrerebbe quella maggiormente compatibile con il sistema normativo di riferimento.

 

Conclusioni

 

La guida in stato di ebbrezza ( e/o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) costituisce senza alcun

dubbio uno dei comportamenti più pericolosi sotto il profilo della sicurezza stradale e della incolumità propria ed altrui.

L’ordinamento nel corso del tempo ha sempre più inasprito le pene principali ed accessorie sia a scopo preventivo sia per finalità repressivo-dissuasive.

Tuttavia l’introduzione di misure quali la messa alla prova, pur giustificate da ragioni sociali ed

organizzative, ha depotenziato l’efficacia degli interventi legislativi, soprattutto con riferimento alla pena principale.

E’ dunque necessario che il sistema delle sanzioni accessorie (quali la sospensione e la revoca della patente), che è l’unico ad assicurare l’effettiva incidenza sulle abitudini di vita dei soggetti destinatari e a neutralizzare per periodi più o meno lunghi il pericolo di reiterazione di fatti delle stessa specie, venga applicato in maniera rigorosa con norme il più possibile chiare e precise, che non lascino spazio ad interpretazioni capziose ed elusive in considerazione della estrema importanza degli interessi in campo.